The special adventures of Luca Torzolini and Hanry Menphis - La Rubrica

Quella sera eravamo strafatti di Ketamina e MDMA, io e Menphis. Era la sera adatta per l’invenzione di una nuova rubrica. - Cosa serve per scrivere una rubrica? - chiese Hanry Menphis. - Non so, forse alcol. Vuoi dell’alcol? - risposi. Sapevo già che avrebbe accettato e gliene versai. Poi mi misi a sedere sulla grande poltrona di giaguaro. - Sai Menphis, in questo periodo le storie mi escono dalle dita come se dovessi pisciare. Sono delle vescicone piene di piscio con forti problemi di ritenzione. Menphis rimase in piedi, con il suo bicchiere in mano - Ti capisco Luca, a volte ho la sensazione che il mio cervello sia troppo grande per il cranio. Sento la corteccia cerebrale premere prepotentemente sulla ossa. Forse sto diventando un dobermann. I due continuarono a parlare e la storia d’un colpo passò ad essere narrata in terza persona: le trame, signori miei, non accettano di farsi calpestare dall’ordinario. Allorché, mentre i due sorseggiavano alcol e la notte passava, una creatura astratta prendeva vita: la rubrica. E lei non riusciva a sopportare l’ignorante voce con cui il primo si rivolgeva all’altro, ancora più ignorante . Ma era nata dal loro bisogno di parlare di qualcosa, di qualsiasi cosa, purché riempisse quel dannato silenzio. Era una rubrica che non esprimeva alcun concetto, quasi a volersi dire sopra le parti. Ma in effetti sentiva un profondo e viscerale disagio per la sua inutile esistenza. Rubrica senza senso, almeno apparentemente simile al resto della popolazione, ma cosciente della mentalità comune che l’avrebbe connotata come rifiuto. Decise di suicidarsi. Il difficile stava nel trovare un modo. Poteva sperare che i due, risvegliandosi il giorno dopo, si rendessero conto della cazzata che avevano fatto. Ma il giorno dopo prevedeva un equivalente dosaggio di MDMA e Ketamina. Sarebbe rimasta in vita, reduce di cicatrici cerebrali di due venticinquenni che non accettavano la realtà. Troppo banale, sarebbe troppo banale ridurre la sua infinita superficialità a del semplice “troppo banale”. Troppo umana. E allora che senso aveva tendere alla perfezione per sapersi alla fine comunque incompleti? Che senso aveva laurearsi in economia per poi non vedere neanche un soldo? Non aveva senso cercare un senso fittizio se alla fine della giornata la morte sarebbe venuta lo stesso, travestita da preoccupazioni per il giorno seguente, mentre della Marlboro non sarebbe rimasto che il filtro, e il catrame nei polmoni sarebbe stato sempre più forte di qualsiasi menzogna si potesse usare per giustificarlo. Così i due decisero di non cercarlo, quel senso; di non inventare un’arte che si arrogasse il diritto di spiegare tutto, ma limitarsi a passare il tempo, scrivere per riempire quel grasso disagio interiore, figlio del terzo millennio. Hanry Menphis e Luca Torzolini alternavano letture di elevatissimo spessore a cose totalmente demenziali, Popper ai Monty Python, Happy Tree Friends a Pasolini. Quindi cosa poteva fare la loro creatura? Le sembrava impossibile abituarsi all’idea di quella vita, trascorsa tra l’essere un abominio dell’editoria e la rubrica preferita di tanti imbecilli. All’improvviso, nell’affermazione di uno dei due su un certo Gurdjieff, prese la direzione della rubrica esoterica. Ma ad un chiasmo romantico recitato dall’altro si sentì subito sturmunddranghiana. Il lungo silenzio a venire le tolse di dosso il grande fardello: i due stavano pensando ora ad ammucchiate selvagge; ognuno nella propria testa scopava un numero indecifrato di ragazze mulatte, asiatiche, caucasiche. Prendendo esempio dalla facoltà femminile di sincronizzare il giorno del mestruo con le donne con cui si convive, le menti funamboliche dei due scrittori si diressero verso il medesimo punto, al centro di quell’orgiastico universo, per incontrare la stessa fanciulla. Una telepatia sincronica l’incollò per sette minuti e quaranta all’identico, infimo pensiero sconcio: la presero, Juliette, 21 anni, la presero e legarono il suo corpo al letto. Lei protestava, impotente, mentre i due indossavano i loro abiti di scena. Luca Torzolini , da carismatico Zorro , cavalcava la puledra imbizzarrita e, con grevi colpi di fianco, assestava potenti penetrazioni nel foro anale. Hanry Menphis, alias Aquaman, esplorava ogni condotto fino a sverginare anche il foro lacrimale. All’unisono vennero con urla e gesta inconsulte sul corpo esanime di colei che - nonostante fossero fatti come muli - avrebbero ricordato per sempre. La fantasia finì. La realtà, in tuta mimetica e berretto verde, li attendeva pronta all’agguato. - Oh, ma questa rubrica? - disse Torzolini. - Alcol, serve alcol! - rispose Menphis. E i due se ne versarono ancora. La rubrica era rediviva, come un vampiro risvegliato da un lungo torpore, e si stava avviando con profondo disagio verso le strazianti rotte della rubrica a tema. Nulla di più inquietante poteva capitare, dalla sua nascita, ad un rubrica. Etichettata, identificata in un pericoloso modello che riproponeva di volta in volta lo stesso schema esplicativo per narrare aneddoti di Rimbaud, Diogene o chiunque altro, o per intersecare fra loro periodi storici e correnti artistiche , facendo ciò che alla fine dei conti può essere letto come un semplice sproloquio soggettivo senza alcuna attinenza con la realtà. - Si potrebbe chiamare “Ma chi sono io per fare una recensione critica su un quadro?”. - disse Torzolini. - Sì - rispose Menphis - in realtà parliamo solo del pittore e del suo escursus artistico, senza scrivere nulla sul dipinto. -

- Esatto - si esaltò Luca mentre stappava altre due bottiglie di alcol - e concludiamo ogni volta la rubrica scrivendo “All’interpretazione del quadro, a questo punto, pensateci voi”... Bene, visto che è un’idea figa lasciamola per un’altra Racconti di Luca Tor zolini e Hanr y Menp his rubrica. Adesso pensiamo a questa. - continuò Torzolini, che frettolosamente si dirigeva verso il bagno per vomitare. Hanry Menphis, rimasto solo, contemplava con avidità la luce scarna della lampada da cucina, affezionato all’arcaico impulso elettrico che dominava un tempo le scimmie nel circo dei fratelli Watislava. Di colpo si destò dal suolo l’editor, che ore prima era stramazzato a terra a causa di una sfida leggendaria: tracannare una damigiana di vino rosso non fermentato, da due litri e mezzo. Tassoni Stefano, questo era il suo nome, cominciò da subito a sparlare della rubrica in modo saccente e viperino. - La rubrica sarà sulla storia culturale dell’Italia centromeridionale! O no, meglio ancora, sarà invece sulle disquisizioni sopra i Paralipomeni della Batracomiomachia!! - Dopodiché perse di nuovo i sensi. Era l’unico acculturato del gruppo. Poverino, avrebbe fatto una brutta fine. Loro là a cercare di sbarcare il lunario con la rivista più cazzona della storia editoriale italiana e lui imprigionato con loro, in quella litote d’impertinenza che mitragliavamo contro il genere umano. Eppure nel frattempo qualcuno prendeva appunti, là, nell’angolo della stanza. Una donna saggia senza età scriveva senza sosta le lettere che ora v’imbocca a viva forza senza le giuste precauzioni. Più tardi sarebbe morta, per non avervi fatto usare il preservativo. Hanry Menphis e Luca Torzolini l’avrebbero seppellita in giardino, scrivendo sulla sua lapide:

“FANTASIA, NATA IL 00/00/00, MORTA IL 21/05/10”

Sarà difficile senza lei creare,
cercare motivazioni scomposte
che le vostre proposte
potessero stupire.
Magari andare avanti di poesia,
purché non rubino a vossia
talento e grazia.
L’artista ipocrita ringrazia
e s’inginocchia umile ma sapiente
al vostro dio penitente
che presto invecchiare v’ha fatto
con “l’identico” a contratto.
A tempo indeterminato.

 

A quel punto le idee stavano per finire. Nelle menti dei due scavava con forza il proprio rifugio Il Grande Vuoto. Presi dalla scintilla dell’ultimo impulso vitale, due neuroni sull’orlo del collasso incrociarono i propri assoni per dare un senso al finale. - Quale credi sia l’unico modo in cui una rubrica possa suicidarsi? - chiese Hanry Menphis. Torzolini rispose - trasformandosi in un semplice racconto - poi si alzò e se ne andò da casa dell’amico, portandosi via le sue buste piene di piscio

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