Roma. Molta gente spera di trovarci qualcosa di più rispetto alle piccole realtà di provincia. Forse è così, ma le risorse di un luogo sono amplificate dalla ricchezza del proprio animo: chi è vuoto resti pure dove sta, tanto spostarsi non serve a nulla. Per Re-volver la capitale è una realtà dove coesistono migliaia di piccoli e grandi universi artistici. Alcuni validi, altri decisamente no. A noi l’ardua sentenza di scernere e decidere per voi cos’è il genio. Sfortunatamente la cultura viene sempre in aiuto a chi la possiede e ci ruba la possibilità di pronunciare parole nostre, poiché altri hanno utilizzato maggior grazia e minor saccenza per esprimere lo stesso concetto. Quindi, per riprendere il discorso, citeremo Monicelli: “Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione.” Igor Salipchic incarna la figura del... No! Igor Salipchic ci piace. Non ci saranno per lui complimenti o prefazioni roboanti. Non sarà necessario adularlo o descriverne le capacità artistiche. A lui tutto questo non serve, e speriamo d’altronde non serva soprattutto a voi. Ma chissà non vi abbiano già abituati…

Ci parli delle sue origini.
Sono nato a Dolenjske Toplice nel 1967. Mio padre è di origini slovene, mia madre è di Cracovia. In seguito alle tensioni indipendentiste con la Serbia e a causa di un notevole peggioramento delle condizioni di vita, ci siamo spostati da alcuni nostri parenti a Trieste. Dopo alcuni anni, per motivi di lavoro, mi sono trasferito a Roma.

Qual è il suo lavoro?
Io vendo idee. A chiunque. Anche tesi totalmente opposte. Credere di poter avere una vera e propria linea di pensiero è ridicolo. Ma attenzione: anche non crederlo lo è. Vendo idee, come dicevo. È un lavoro che permette di sopravvivere; in Italia nessuno ha delle idee.

A che prezzo mette in vendita le sue idee?
Il prezzo varia a seconda dell’idea. Ci si basa sull’originalità e sulla possibile efficacia di applicazione. Fino agli anni ’90 sono riuscito a sopravvivere vendendo quasi esclusivamente idee artistiche, poi l’arte ha subito un declino e sono stato obbligato a riversare la mia creatività in ambiti più modesti. Non posso farvi un esempio con possibile riscontro perché sono vincolato dai termini di contratto con i miei clienti. Vi farò un esempio aspecifico per farvi capire: ho degli appalti con certe catene di ristorazione cui ho venduto l’idea di riempire i locali con gruppi designati di comparse. Come lei sa, gli individui si spostano seguendo le stesse dinamiche della transumanza. Gente attira gente.

Ci spieghi meglio.
Si tratta di assoldare degli individui rendendoli avventori apparentemente occasionali. Non importa la loro formazione o estrazione sociale, sono persone “X” designate a vendere la propria presenza in quel dato luogo per quel determinato lasso di tempo. Avete mai sentito parlare di “Crowd-Bathing”? È un fenomeno ormai sviluppatosi nei più battuti itinerari turistici del mondo, e quindi anche qui nella capitale.

Perché ha deciso di rilasciare un’intervista a Re-volver e venire allo scoperto?
Perché voi siete una rivista sottoterra, per pochi. Sento una particolare affinità con Re-volver. Sapete, parte del mio lavoro fino ad oggi consisteva nel restare nell’ombra. Non dovevo essere nessuno. Rifiutare la notorietà per permettere agli altri di acquisirla. Ma presero le mie idee, pure e fantasiose, per trasformarle in mostruose macchine da denaro. Le trasformarono adattandole al pubblico, per raggirarlo. Mi ritengo una persona di sani principi: odio la finzione e l’ipocrisia. Credere nell’improbabile è ormai un comandamento per gente comune. Il mio messaggio è “Scavate dietro ogni cosa”. Spero quest’intervista possa agevolarvi.

Perché non converte le sue idee in prima persona invece di appaltarle?
Come cercavo di suggerirvi prima, non sono interessato al comune modello capitalistico del guadagno infinito. Le mie modeste origini mi hanno educato a una vita semplice, lontana dall’opulenza trimalcionica che ispira le nuove caste dominanti. Però devo ammettere che il vero motivo per il quale non converto le idee è legato a un tratto specifico della mia personalità: durante il giorno, dal momento in cui mi rado la barba fino a quando fumo l’ultima sigaretta, sono inondato da un flusso costante e continuo di idee. Realizzarne una significherebbe lasciarne troppe da parte.

Qual è l’incarico che l’ha soddisfatta di più?
Tempo fa un editore avvenente, per un vezzo personale, a seguito di una sua triste vicenda giudiziaria, mi contattò per rivelare la realtà di corruzione e connivenze di cui era caduto vittima. Era stato minacciato da persone intoccabili, ma non potendole denunciare, si rivolse a me per uno sfogo: voleva gridare al mondo il suo sconforto. Inventai un codice, ben nascosto in un romanzo d’amore, che permise all’editore di denunciare attraverso quel libro ad altissima tiratura la corruzione del giudice in questione. Il messaggio è scritto chiaramente, ma leggibile solo attraverso la conoscenza di determinati passaggi di lettura. Una verità sotterranea e scottante, un caso che mi colpì molto. Il libro è ancora lì, sotto gli occhi di tutti.

Ha mai inventato uno sport?
Sì, per i villaggi turistici. Lì si tende sempre a ricreare la realtà a scopi ludici secondo una chiave comico-animata. Una grande agenzia di animazione mi chiese un pacchetto di sport divertenti e totalmente innovativi. Inventai nel ’95 il twaddle e altri sport mirabolanti come il biliardino subacqueo o il calcio in discesa.

E sarebbe?
È semplicemente il calcio senza corner per chi gioca in salita; il campo da gioco è quindi scosceso. La porta che sta in basso è più piccola, quella in alto è più grande. Il resto credo possiate dedurlo.

Passiamo alla letteratura, il motivo per cui abbiamo deciso di incontrarci: quali sono innanzitutto i generi e gli autori che predilige?
Sono certo che l’infinita lista di autori validi vada elencata in altro luogo. Facile mi è dirvi che sono quasi tutti morti. I generi, così fermamente fissati nelle etichette in cui gli invalidi critici li costringono, sono identificazioni di personalità scialbe in regole utili per chi ha da vendere. I maggiori autori sono quelli per i quali, a ogni pagina letta, il lettore è portato a mangiare un “biscottino”. Due pagine, due biscottini: tre pagine, tre biscottini e via di seguito… e alla fine le pagine lette sono fatalmente più numerose dei biscotti mangiati. Due generi che mi hanno impegnato molto sono il poliziesco e il mistery-novel, generi in cui la suspence e il colpo di scena sono pulcini affamati da nutrire con dosi continue e cadenzate di grassa inventiva. Dashiell Hammett era un mitragliatore di fantasia e non a caso ha tenuto per buoni decenni il cinema al laccio come gli scrittori di oggi fanno nel migliore dei casi con i loro dobermann. Philip K. Dick e Ray Bradbury sono, per via della loro creatività visionaria, le uniche persone che hanno spinto la mia testa nel lavandino. Secondo me anche Ridley Scott e Truffaut, impressionati dalle sortite visionarie di questi scrittori, hanno deciso di abdicare verso sceneggiature affini al loro ego.

E il cinema?
A mio avviso non esiste confine tra cinema e letteratura. Io opero nel plottery [sic!]. Sono chiamato dai miei amici cineasti a fabbricare soggetti. Senza trama i film, i romanzi, le pièces teatrali cadono a terra come invertebrati. Il plot o la trama costituiscono il motivo di una storia, anche se credo sia fondamentale il linguaggio e lo stile con cui si sceglie di trasporla.

Sappiamo che sta scrivendo un libro. Di cosa tratta?
Trascurerei innanzitutto il concetto canonico di libro. Un libro racchiude. Il mio libro rinchiude strani personaggi e vicende in strutture sintattico- morfologiche sperimentali. Ispirandomi alla saga del romanzo gotico, inaugurata da Il castello di Otranto di Horace Walpole, ho voluto trasporla in tempi moderni riadattando, rivedendo e riabilitando l’underground del terrore e dello sconcerto secondo canoni inaspettati e anticonvenzionali. Vi spiego: un romanzo che incute terrore è sempre ambientato in un castello o in una angusta dimora visibile solo negli intervalli tra un lampo e l’altro. Quando si ha paura fuori piove sempre e il nostro carnefice è puntualmente alto e spigoloso. Ci insegue con un incedere da atleta decaduto. Brandisce uno strumento primitivo che a lui non farebbe mai male. I personaggi del mio libro, di contro, hanno paura di chi li insegue con la lettura e di chi, rileggendo le torture cui sono sottoposti, li vuole far soffrire più volte. Sono esseri raccapriccianti, pingui e perennemente in sovrappeso. Vivono all’interno di mostruose tensostrutture ad aria, campi da tennis in disuso o vecchie fornaci cui hanno divelto le ciminiere prima di dimorarvi. Si nutrono di frattaglie, scarti di macelleria e verdure sparse a terra dopo i mercati. Sono perennemente nudi ed escono solo durante le ore diurne. Il titolo provvisorio del libro è Non è un Magritte.

Perché indossa questi occhiali?
Mentre il mio naso così appuntito sorregge questi occhiali, la mia vista è assorta in altre faccende: sonda al contempo realtà astratte, scollate, filtrate a malapena dalla coscienza. Gli occhi riposano e facendolo nutrono la mia immaginazione… Ricordate che la vista può trarre in inganno. Potete anche essere dei geni, ma il mondo riuscirà sempre a ingannarvi se fate affidamento solo sulla vista. Chi di voi ad occhi chiusi giurerebbe di trovarsi al buio?

Dicono che lei porti sempre una lametta in bocca…
Tutti dovrebbero portarla per tagliare le parole superflue. E non si respira ormai in giro che del superfluo.

Cosa ne pensa del reality show?
Stanno cercando di farvi perdere il senso della realtà. Guardatevi intorno. Il reality è tutto ciò che accade dietro la macchina da presa, non davanti come siete oramai abituati a credere. Il reality è quest’aria rarefatta, il colpo di tosse che ho appena fatto.

E dei Social Network?
Sono le giostre della nostra contemporaneità. Il lunapark del nostro subconscio, dove tutti proiettano il proprio per fini onanistici. È una forma di voyeurismo di se stessi e di ciò che si vorrebbe essere.

Qual è la cosa più importante al mondo secondo lei?
Non avere il bisogno di chiederselo.

Da cosa non si può sfuggire?
Risponderei dal dolore. Ma il lettore potrebbe davvero capire? L’avete mai visto un vecchio morire di sete? Avete mai avuto la sensibilità necessaria per guardare nelle paranoie di un insicuro? Io lo so, so che ci sono riusciti. Con le loro immagini patinate di vip che troieggiano, con i loro scandali da ritardati, con la loro mania per il bello, il forte, il saccente ci sono riusciti. Vi hanno nascosto il dolore. E quando arriverà non sarete pronti. Ne avrete paura e la paura vi schiaccerà come formiche.

Cambiare la realtà per migliorarla: un’utopia?
Citerò Nisargadatta: “perché vi preoccupate del mondo prima di preoccuparvi di voi stessi? Volete salvare il mondo: ma potete salvarlo prima di salvare voi stessi? E che cosa significa salvarsi? Salvarsi da cosa? Dalle illusioni? La salvezza è vedere le cose come stanno”.

Collaborerà con noi in futuro?
La cosa, credo di poterlo ritenere, è già in essere.

Ci regala un’idea?
A voi potrei regalare uno spunto per una rubrica, ma avrei bisogno di due intere pagine.

Due pagine intere?
Sì, la 88 e la 89.

Sono sue.

di Luca Torzolini

Oggi è un giorno
che si crede stufo di tutto
e insulto ogni uomo e me stesso e le stelle.
Brutto vizio, stufarsi.
Sarebbe meglio nascere imbecille,
e avere una moglie e un lavoro
da cui farsi imprigionare.
Meglio non essere,
come chi legge il giornale
e non capirà mai che in fondo
sono sempre le stesse quattro notizie
e l’identica solitudine incurabile
a dire al collega “Hai visto che è successo?!”

Oggi è un giorno
in cui è meglio lasciarmi stare;
mi sento come Said l’extracomunitario,
marionetta in una catena di montaggio
sgozza 1300 polli ad ogni turno.
E lento scava la fossa in cui ficcare la propria ascesi.

Po-po-pooooo! Po-po-pooooo!
1300 polli
li affronto con righe determinate,
ma di solito dico “Scappa! Sei ancora in tempo…”.
Mi fissano con la coda dell’occhio:
sono uno di quei coglioni che scrivono ancora poesie,
“poesia” una parola più antica di “museo”,
come dice il mio amico Denis.
Al museo non ci sono gelati:
c’è uno che spiega, e particolari, e pensare.
Sulla parola poesia è caduta troppa polvere.

Sono sicuro che
Said vorrà sgozzare me
quando leggerà questa poesia,
ma sono altrettanto sicuro
che non la leggerà,
perché la sue mani conoscono
solo sangue da macello.
Mai sentì
sgorgargli addosso
effluvi di sangue eroico
tra le pagine usurate dai pollici.

Ormai non m’identifico più con niente e con nessuno.
Sono senza speranza
come l’ultima parola di un condannato a morte.
Solo come il silenzio a venire.

Ho studiato filosofie di uomini
che risalivano pecore fluviali
per farsi crocifiggere sull’albero maestro.
Sentii rimbombare il loro amore infinito
nella mia piccola e cinica mente da agnostico:
avrebbero dovuto raccontare alle pecore
la loro illimitata pochezza.
Fare o ricevere violenza
non aiuta il carattere imitativo
del popolo.

Ho letto reietti
insultare perbenisti e benpensanti
dimentichi che hanno già le loro vite.
E tanto basta.

Ho sfogliato superficiali riflessioni
di uomini profondi
e le ho trovate più profonde di me,
d’ogni burrone e abisso
che credevo d’aver visto.
Sento ancora il loro disagio
correre lungo la schiena
e scavare,
prepotente scavare,
fino a raggiungere
il più placido dei nervi
e il più inutile dei capillari
e non fermarsi.

Confutando ogni teoria
ho intravisto la Verità
fumare la sigaretta perfetta e irriducibile
della sconfitta umana
al disco-bar;
l’ho osservata ansimare per la bionda sul cubo
e pensare “Ad un porco non si può leggere la divina commedia!”
Poi si è avvicinata, le ha messo una mano tra le gambe,
e non ha dovuto spendere neanche una bugia.

Non mi dà più conforto alcuno
l’amicizia con i pochi intellettuali;
mi sfinisce l’attesa del bimbo deforme che porto in grembo
e la possibilità (pressoché nulla) di toccarti con queste parole
dove posso ancora farti male,
con lo schifo più violento che provo per te.

Non mi confortano, davvero,
il successo, il denaro e le donne,
offerti come un pacchetto vacanze
a chi si sente già arrivato
disilluso dall’idea che l’ha portato fin là.

Provo tristezza, un’infinita tristezza assassina
per chi invidia la fortuna dell’altro
che nascosto piange ossessioni di mercurio:
rosica per un dio perfetto al quale non potrà parlare. Mai.
Il divo tanto amato da un fan insignificante.

Ma mi alzo ancora al mattino tardi,
con in bocca gli eccessi della notte ,
e mi arrendo al mondo lettera per lettera
declamando alle pareti
poeti che ancora non conosco.

Ma mi muovo ancora, tra le folle,
con la patologica imperfezione che contraddistingue qualunque essere umano
e mi arrischio a castigarvi fonema per fonema
declamando di fronte a voi,
poeti che ancora non conosco.

Holy Fare è un video-romanzo noir ambientato nei migliori ristoranti, locande e aziende agricole italiane.
L'intento è quello di creare una guida dei prodotti tipici e dell'arte culinaria italiana, effettuando recensioni dei luoghi di ristoro su base meritocratica e scoprendo materie prime, trasformazioni e mescolanze nei processi di lavorazione di cibi e bevande.
I personaggi che popolano quest'universo sono sedici, otto per fazione. La fazione rossa fa capo a Fulvio Seta, noto ladro gentleman; la fazione blu è guidata da Adalberto Sangue, detective dell'improbabile e nemesi di Seta. Tutti insieme guideranno l'utente alla scoperta delle migliori realtà enogastronomiche italiane attraverso mirabolanti avventure  a cavallo tra realtà e fantasia.
Il sito propone le sue funzionalità tramite banner accuratamente disegnati: l'utente potrà visionare video relativi a ristoranti e prodotti tipici, trovare tutte le informazioni necessarie per raggiungere e contattare l'azienda, consultare ricette letterarie e leggere interviste a grandi cuochi, sommelier, agronomi e scienziati.

Intervista a Luca Torzolini - Ideatore della guida

Perché realizzare un videoromanzo ambientato in luoghi di ristoro, locande e aziende agricole?
La banalità impera nell'ambiente mediatico dell'arte enogastronomica: la parola cliché è un eufemismo nelle manifestazioni pubbliche e nelle attività che sponsorizzano ristoranti e prodotti tipici. Innovazione e fantasia sono la base di un sano appetito mediatico. Amo la tradizione culinaria italiana e la sperimentazione che da sempre rende unico il nostro operare, rinnovando e migliorando ricette e processi di lavorazione artigianali. Intendo donare a questo settore spessore culturale, interesse all'ascolto e grazia.

Cosa c'entrano l'arte visiva e la letteratura con la cucina?
Sono dell’idea che la maestria in un singolo campo presupponga due qualità: umiltà e polivalenza. La realtà è l’insieme dei rapporti tra tutti gli elementi che la abitano. Per un artista è necessario conoscere il maggior numero di elementi coesistenti nella realtà per poterla smontare e riordinare tramite una propria logica, subordinata di volta in volta al messaggio e al mezzo comunicativo utilizzato.

Cos'hanno di particolare i tuoi video?
Li realizzo cercando un'armonia fra me e il luogo di ristoro o l'azienda agricola. Narrare per immagini sottende la presenza di una capacità d'analisi unita alla competenza semantica, nel desiderio di trasporvi la propria originalità senza eccedere con l'ego. Un buon regista è invisibile. Oggi più che mai, l'arte culinaria necessita dell'arte cinematografica: si compenetrano creando appetiti simultanei.

Il vostro modo di comunicare è quantomeno fuori dall'ordinario. Perché questa scelta?
A te, lettore, cosa desta interesse quando apri un social network o un blog? Gli esseri umani vivono di storie: avvincenti, intricate, pregne di bellezza e savoir faire. Ogni volta che mi propongo di creare un'attività penso “Comprerei ciò che metto in vendita?”. Perfeziono l'attività fino a convincere me stesso. Poi mi chiedo “Ami ciò che fai? Ti sembra etico, meritocratico e curioso?”. Si, e quindi propongo l'attività al pubblico.

Qual è il tuo personaggio preferito?
Il lettore, con la sua interpretazione dona sempre un'originalità inaspettata ai miei racconti.

Tra i 16 personaggi del videoromanzo, Fulvio Seta e Adalberto Sangue sono i più rilevanti. Cosa hanno in comune con te?
L’amore per la ricerca e la sperimentazione, la curiosità nei confronti del mistero esistenziale e delle formule pressoché infinite del gusto e dei rapporti intra e interpersonali. Fulvio Seta tira fuori il lato eccentrico della mia personalità, l’attrazione che suscitano in me il delirio della folla e il gioco erotico messo in atto dalle donne di classe. Adalberto è introspettivo, analitico e fortemente misantropo: conosce il lato oscuro dell’essere umano e ne analizza i fenomeni di causa-effetto indagando gli aspetti dello scibile che legano l’arte culinaria agli individui.

I tuoi video hanno un taglio narrativo molto originale. Cosa ti piace sottolineare dei locali che recensisci?
La personalità del proprietario: il locale in fondo non è che una sua emanazione, frutto della filosofia che attua nei confronti del mondo enogastronomico e della vita in generale. I locali superficiali sono prodotto di persone superficiali; i luoghi di culto della ristorazione effondono la sapienza e la convivialità di chi ha coltivato i propri talenti per proporre un servizio di alta qualità.

Come si evolverà Club Detective in futuro?
Nel business plan è in programma la nascita di due elementi fortemente innovativi riguardo siti e applicazioni per l’ambito del drink and food. Il primo è un sistema di critica meritocratica operata dagli utenti in base al loro grado di preparazione (questo eviterà svianti recensioni di persone incapaci di effettuare valutazioni verosimili). Il secondo riguarda un secret login che metterà in contatto fornitori e collezionisti, grandi chef e raffinati degustatori del sublime.

In che senso si parla di video-romanzo?
Club Detective è un incrocio fra una serie televisiva in cui ogni locale o azienda agricola fa da titolo alla puntata e un romanzo che sviscera capitolo per capitolo tradizione e innovazione nell’ambito alimentare. Ogni dieci locali uscirà un ebook con le storie dei vari personaggi che s’intrecciano; i racconti saranno intervallati da ricette letterarie, interviste ai cuochi e articoli saggistici.

Come si crea un’opera originale?
Innanzi tutto bisogna possedere un’anima e coltivarla con irrefrenabile curiosità. Poi, scevri da qualsiasi vanità, è necessario un lungo processo di meditazione immaginifica seguito da un’abnegazione verso il fare, col meticoloso intento di portar fuori la propria, unica e originale, visione del mondo.

Intervista a cura di Stheffany Camargo

Chi sei?
Credo che definirsi sia uno dei modi più ignoranti per limitarsi. Qualsiasi sostantivo o attributo limita, di fatto, le reali possibilità dell’essere umano che - se d’essere umano si parla e non di sopravvivente - di certo egli non vorrà mai porre limiti alle proprie possibilità di evoluzione. Neanche queste parole riescono a descrivere efficacemente chi sono perché è già forte in me il desiderio di contraddirmi, di rimescolare pensieri e ragionamenti. Chi sono? È forse più divertente che siano altri a tentare di dare una risposta a questa domanda.

Cosa pensi dell’importanza riservata all’estetica nel mondo contemporaneo?
Oggi la maggior parte delle persone non possiede null’altro che la propria apparenza, di ordine fisico, emotivo e intellettuale. D’altronde la società dell’immagine spinge il singolo verso esperienze subitanee e destrutturate, refrattarie ad ogni approfondimento e basate sulla prima impressione. È necessario sviluppare un amore per le persone che si frequentano e per ciò che si fa, questo amore nutre l’anima, la rende bella e forte, e questa bellezza arriva all’esterno, così l’apparenza scompare e fa spazio ad una reale profondità.

La conoscenza viene dai libri?
La conoscenza viene anche dai libri e i libri sono stati scritti da persone che hanno osservato l’universo intorno a loro e hanno analizzato, pensato e poi riproposto, tramite diversi codici (il cinema, la fotografia, la letteratura…) ciò che avevano appreso. Io consiglierei a chi cerca una vera conoscenza di incontrare quelle persone che non smettono mai di cercarla. Durante gli ultimi sette anni ho realizzato documentari o, come amo chiamarle, “biopoetiche” (cioè “visioni della vita”) su alcuni fra i più grandi artisti e intellettuali al mondo e devo dire che proprio da loro ho appreso dei concetti e dei modi di vivere - di essere sereno e forse anche di aspirare ad una certa felicità - che non avrei mai potuto apprendere dai libri.

Come si insegna a scrivere?
Non credo si possa insegnare a scrivere se prima non si è capaci di leggere ciò che è scritto dentro di sé. Poi si può aiutare qualcun’altro a codificare il proprio linguaggio interiore e ricodificarlo tramite alcuni media; solo in seconda battuta è poi possibile insegnare le regole tecniche della scrittura giornalistica, della graphic novel, del cinema e della letteratura… e in quel caso si spera sempre che l’interlocutore, queste leggi, cerchi di evaderle.

Sei politicamente schierato?
Il sistema politico odierno è difficile da correlare ad un sistema fondato sulla giustizia sociale. Trovo sia giusto aderire a movimenti o ad azioni tese ad miglioramento oggettivo delle condizioni delle classi più disagiate. Mentre considero davvero stupido aderire a movimenti o partiti politici il cui profilo ideologico è solo una maschera strumentalizzata da persone di potere che troppo spesso usano questo potere per trarre benefici personali.

Cosa pensi della censura? C’è qualcosa di cui non si deve parlare?
Credo che se una persona ha problemi a parlare di un determinato argomento, di sicuro ha dei problemi legati all’ascolto della propria interiorità e una scarsa apertura mentale. La censura, legata a determinati contenuti storici o a determinate persone è grave solo in parte, soprattutto se genera un moto di rivolta intellettuale che opera al fine di smascherare questa censura. Forse una delle forme più feroci di censura è l’autocensura che molti artisti o presunti intellettuali operano al fine di arrivare al successo poiché il sistema di edizione e di distribuzione richiede di seguire una determinata linea editoriale. Costoro non fanno altro che castrarsi per una beatificazione di massa ammaestrata e ignorante.

Come si raggiunge la maestria in arte?
Sono dell’idea che la maestria in un singolo campo presupponga due qualità: umiltà e polivalenza. La realtà è l’insieme dei rapporti tra tutti gli elementi che la abitano, quelli visibili e quelli invisibili. Per un artista è necessario conoscere il maggior numero di elementi coesistenti nella realtà per poterla smontare e riordinare tramite una propria logica, subordinata di volta in volta al messaggio e al mezzo comunicativo utilizzato.

Luca Torzolini recita a Dario Fo "Poesia del Principe Servo", un'opera che descrive uno dei segreti racchiusi nel tempo: se da una parte esso determina nascita, vita e morte del corpo fisico, dall'altra dona la possibilità di vivere il tempo futuro nella voce di chi ti amerà per ciò che hai detto e fatto, di vivere il presente in maniera piena e sensazionale secondo per secondo e di comprendere di colpo la necessità formativa del proprio passato, essendo predestinati ad evolversi come mediatori delle voci divine.
Dario è un eroe, un esempio per chi ama davvero l'arte e la considera una possibilità d'evoluzione per lo spirito umano. Questa poesia è dedicata a lui e a tutti coloro che in futuro serviranno cause a favore dell'umanità intera.

Luca Torzolini, regista, scrittore e poeta, interpreta personalmente una delle proprie poesie. Fellatio è un termine che deriva dal latino e si usa per indicare uno dei preliminari classici del rapporto sessuale, una pratica orale che consiste nello stimolare il pene con la lingua, le labbra e la bocca per dare piacere all'uomo. Ricca di sintagmi polisemici, ellissi, arcaismi e con una sintassi sperimentale, la composizione rende vivido e tangibile l'atto, lasciando da parte qualsiasi uso volgare della lingua. L'opera è stata finanziata da www.sexyshopthor.com, il primo sexy shop che opera crowdfunding in favore di opere d'arte d'alta qualità contenutistica e formale.

di Luca Torzolini

«[…] L'odio è per i deboli: questo ho sempre pensato. Il sotterfugio, il compromesso, la menzogna sono le armi del fragile, lo scudo dell'impotente. E non li giustificherò.
Non dirò, come fanno in molti, "che gran figlio di puttana!" con accezione positiva guardando un potente che si fa beffe di un ingenuo; l'invidia verso l'operato furbesco di queste infime persone è per esseri della stessa specie schifosa.
È deleterio per persone come me guardarsi intorno e scoprire quanto poco meritevoli siano gli altri di una solida considerazione. E non mi fermo, perché la mia bocca non conosce timore né sfinimento di sorta e solo la morte aggrada come unica avversaria.
Il silenzio è una bestemmia: non cambiare le cose per l'incapacità e la paura di farlo...
Sputeranno. E la chiameranno arte.
Ci saranno la corrente del catarro, quella del moccio e la corrente delle feci. Gli “-ismo” saranno applicati a tutte le parole e l'uomo ne inventerà di nuove pur di vendere la propria incapacità.
L'uomo è la pubblicità del business.
E quando legalizzeranno l'omicidio e lo stupro non venite da me, quando il mondo giustificherà tutte le macchie dello spirito perché "il sabato sera" sarà stato più importante di sapere cosa si nascondeva dietro la formula di un acido nucleico.  La definizione di homo sapiens sapiens sarà dunque finalmente invalidata; ci saranno solo ingiustizie, soprusi, violenze e nessuno potrà porvi rimedio: non pretenda una parola in sua difesa chi non ha mai mosso un dito per difendere la cultura.
Un giorno le donne smontabili di Dalì non saranno più soltanto un delirio solipsistico e stiperanno nei loro cassetti la curiosità di Pandora e il Mondo Nuovo di Huxley. Le protesi tecniche domineranno tutte le arti e l'uomo non saprà fare un calcolo: non ci sarà alcun pensiero originale, neanche un solo pensiero umano. Il mio urlo sarà allora l'indignazione colta di chi non sa che farsene della vostra stupida e sottomessa e aberrante e oscena e putrida educazione alla vita moderna e ai suoi immondi meccanismi. Unitevi a me, ora, nella schiera di chi pratica la via della conoscenza e della sensibilità, immergendosi in una vita piena d’interessi e di affetti: non c’è bilancia più esatta e in grado di soppesare le vostre azioni del ritorno che da esse avrete indietro. Il mondo fa schifo ed è colpa vostra e solo le vostre azioni lo potranno cambiare».

L'assessore alla cultura riprese fiato, poggio il foglio sul comodino vicino all’assegno da dodicimila euro; si guardò allo specchio ma non si riconobbe. Non ricordava più che le parole appena pronunciate erano davvero parole sue, parole dette in passato, piene e potenti parole dell’intellettuale di un tempo. Un intellettuale che aveva combattuto contro il potere e l’ignoranza e infine, stanco dell’indifferenza del prossimo, aveva perso la fiducia nell’onestà.
Mentre annodava una cravatta firmata sul colletto di una camicia firmata, la moglie lo abbracciò da dietro e  disse «Con questo romantico e rabbioso discorso sulla giustizia e sulla meritocrazia riuscirai ad affascinarli tutti! Sai benissimo, amore mio, quanto gli uomini di questo secolo siano suggestionabili...»

Non troppo distante dalla terra un essere la osservava. Era verde, con le classiche antennine. Uno di quegl’alieni che parlano sempre di come conquistare altri pianeti. - Che ne dici, ci mischiamo in mezzo a loro? - disse ad un suo simile, seduto accanto a lui nella comoda astronave. L’altro alieno era più verde, come se la pigmentazione della pelle avesse fatto indigestione di bile.

- Ma no, dai, lasciamo perdere -

- Ma sei pazzo?! Guarda che solo sulla terra puoi trovare della fresca Vodka Watislava! - I due esserini verdi si guardarono tra loro e dissero all’unisono - Vodka Watislava, la vodka che lo stomaco ti lava! -

- Stop, ciak buono! - disse il regista. La troupe cominciò a disfare la scenografia e le luci; gli alieni si tolsero le facce. Hanry Menphis era quello più verde. Quel mese i due non avevano trovato nulla di meglio. In fondo il lavoro era buono, la paga alta e l’esigenza di trovare dei soldi davvero esagerata. Luca Torzolini ed Hanry Menphis avevano speso tutto il compenso del lavoro precedente a puttane e alcol. Sembrava facessero a gara nel cercare sempre nuovi metodi idioti per sperperare i loro averi. - Che ci compriamo? - chiese Hanry Menphis. - Potremmo acquistare quella macchinetta fotografica gigante - rispose Torzolini - oltre all’alcol, ovviamente. -

- Mi piace! - Ribatté Menphis - Così grande da dover usare due mani per schiacciare il pulsante e scattare una foto - Andarono in uno di quei grandi centri commerciali, dove la gente trascorre i week-end a riempire le tasche degli altri. Cosicché i pezzenti restano sempre più pezzenti, con la casa piena di cose inutili. I due lo sapevano bene, Mazzarò era stato un idiota e loro non volevano portarsi dietro nemmeno un gallo. - Credi che il padrone di queste mura ci guardi dall’alto mentre spendiamo nei suoi negozi? - chiese Torzolini mentre cercava di comprare una commessa con 70 euro. - È probabile che abbia uno di quei teleschermi giganti da dove ci osserva, masturbandosi con entrambe le mani. Nel frattempo una sessantenne platinata gli porge di tanto in tanto una sputacchiera - rispose Menphis palpandosi il pene. Continuarono a camminare. Il primo, disinvolto, insisteva nell’importunare il personale femminile; il secondo, colto dalla sindrome dell’“Ok il prezzo è giusto”, conduceva insulsi discorsi con gli oggetti contrattando sul loro effettivo valore. Dopo due ore si ritrovarono nel reparto cosmetici e si consultarono nuovamente sulle possibilità di spesa. - Abbiamo 300 euro sonanti - disse Menphis. - T’immagini a vincere il superenalotto? Ottanta milioni di euro. Con un milione ci finanzio la rivista Re-volver. La facciamo uscire gratuita e senza pubblicità. Al posto del prezzo mettiamo il quoziente intellettivo che abbisogna per leggerla. Te la vedi la scena? Tutti a prendere Re-volver pensando di essere dei geni. Con tre milioni apro un megabar in un paese dell’entroterra abruzzese, solo per il gusto di osservare l’alone di tristezza di quella gente, una mandria di buoi che trangugia anacardi e sorseggia amari, dolci in confronto alle loro vite. Con il resto dei soldi ci finanziamo i film di quel regista indipendente, Mauro John Capece! - Si sapeva che questa era una lista totalmente fittizia. Ma loro credevano in quelle sparate senza meta, anche se in realtà, ad avere ottanta milioni di euro, si sarebbero giocati tutto a puttane e alcol. - Giochiamo al superenalotto! - ribatté Menphis esaltato. Si avvicinarono a lunghi passi al dipendente di uno di quei barettini da centro commerciale dove la gente finge di bere un caffè pur di incontrarsi. Dopo anni trascorsi all’interno di quelle strutture, inizi a riconoscere con pochi sguardi mirati quali fra quei figli di puttana che lavorano là dentro ti farà penare per trovare una tuta da sci, per illuminarti sulle caratteristiche di un portatile, per farti un cazzo di semplice caffè. Per loro sfortuna quel dipendente era uno di questi. - 300 euro di schedina dell’enalotto - disse Luca Torzolini. - 300 euro, ma sei matto? - esplose il dipendente - Con tutti quei soldi ci fai un viaggio in Marocco di una settimana, pesce pranzo e cena. -

- Non rompere il cazzo e gioca quella schedina! - lo interruppe Hanry Menphis.

- Con 300 euro affitti una Mercedes-Benz con cui rimorchiare fica per un week-end, facendo credere alle pollastrelle che il tuo portafoglio è rigonfio di denaro. Ti fanno una pompa e quando arrivano a esplorarti le tasche tirano fuori la targhetta dei pantaloni in affitto. -

I due si guardarono per alcuni secondi, poi si diressero verso l’uscita. Arrivati a un concessionario in cui affittano automobili Luca Torzolini esordì con uno dei venditori - una Lamborghini Murcielago, abbiamo 300 euro! - Il tizio porse le chiavi dicendo - riportatela entro un’ora - abituato a ragazzi testosteronici in cerca di potenti mezzi acchiappa-gnocca. Menphis e Torzolini si avviarono trotterellando verso la sgargiante autovettura. - Abbiamo un’ora per rimorchiare delle pollastrelle - disse Torzolini, con la voce che sembrava aver preso la tonalità caratteristica dei maniaci sessuali. - Sono le due di pomeriggio, le donne sono tutte a pranzare - rispose Menphis.

- Bene, sfondiamo una casa. Attraversiamo il muro con la macchina per metà, così da ricreare una scenografia classica da pub americano, dove la macchina è incastonata nella parete. -

- Dannazione, ci servirebbe una Cadillac per fare queste cose... -

- Vabbe’, allora sai che ti dico? Passiamo dalla fruttivendola a far vedere questo gioiello, poi dalla fornaia e infine davanti casa della mia ex. Appena vedrà questo macchinone si pentirà di avermi scaricato per Mimmo “Il Zozzo”. -

- Perché non passiamo da tua madre? È un sacco di tempo che voglio farmela... - Passò un’ora e il venditore tornò a reclamare le chiavi della macchina. I due non erano ancora partiti. - Ma che cazzo vuole! La macchina è nostra per un’ora dalla partenza… -

- Nessuno aveva parlato di partenza - rispose il venditore - era un’ora e basta, come si fa con le puttane. Anche se non consumi, paghi! -

- Brutto frocio di merda!!! Questa macchina è mia per un’ora ho detto! - a queste parole di Torzolini, i due si allacciarono le cinture iniziando a urlare insulti sconnessi. - Signori, mi costringete a chiamare la polizia. -

- Chiami chi cazzo le pare, noi da qui non usciamo - rispose Hanry Menphis guardandolo dallo specchietto. I carabinieri arrivarono e per un’ora il maresciallo non fece altro che pregare i due di venire fuori con le mani alzate. Ma Torzolini e Menphis continuavano a ripetere a voce alta: - Vogliamo un elicottero e dei passaporti falsi! - minacciando con un accendisigari i venti agenti fuori dalla macchina. L’auto s’accese d’un colpo come un grande mostro atavico dei teatri greci, che sembrava animarsi di forza empatica. Il pedale, in un crescendo di giri, stuzzicava il motore. La macchina sarebbe andata a finire contro quei carabinieri, che per una volta non si sarebbero trovati di fronte piccoli drogatelli con due canne in tasca, da accusare come se fossero il principale problema del mondo. Il maresciallo cambiò espressione, di colpo la sua faccia s’annerì di serietà brutale: diede l’ordine e i suoi bravi fecero fuoco. Un uragano di colpi investì la scintillante autovettura; in breve fu silenzio e canne fumanti e volti sbiancati. La portiera cigolò e poi cadde, riversa sul pavimento come Che Guevara, tradito e colpito sotto il cielo boliviano. Un rivolo di sangue scese dal sedile in pelle blu attraverso la carena e poi la gomma, fino a creare una pozza magnifica di metafore morenti. Poi, con un suono gommoso venne giù la faccia dell’alieno meno verde.

Quella sera eravamo strafatti di Ketamina e MDMA, io e Menphis. Era la sera adatta per l’invenzione di una nuova rubrica. - Cosa serve per scrivere una rubrica? - chiese Hanry Menphis. - Non so, forse alcol. Vuoi dell’alcol? - risposi. Sapevo già che avrebbe accettato e gliene versai. Poi mi misi a sedere sulla grande poltrona di giaguaro. - Sai Menphis, in questo periodo le storie mi escono dalle dita come se dovessi pisciare. Sono delle vescicone piene di piscio con forti problemi di ritenzione. Menphis rimase in piedi, con il suo bicchiere in mano - Ti capisco Luca, a volte ho la sensazione che il mio cervello sia troppo grande per il cranio. Sento la corteccia cerebrale premere prepotentemente sulla ossa. Forse sto diventando un dobermann. I due continuarono a parlare e la storia d’un colpo passò ad essere narrata in terza persona: le trame, signori miei, non accettano di farsi calpestare dall’ordinario. Allorché, mentre i due sorseggiavano alcol e la notte passava, una creatura astratta prendeva vita: la rubrica. E lei non riusciva a sopportare l’ignorante voce con cui il primo si rivolgeva all’altro, ancora più ignorante . Ma era nata dal loro bisogno di parlare di qualcosa, di qualsiasi cosa, purché riempisse quel dannato silenzio. Era una rubrica che non esprimeva alcun concetto, quasi a volersi dire sopra le parti. Ma in effetti sentiva un profondo e viscerale disagio per la sua inutile esistenza. Rubrica senza senso, almeno apparentemente simile al resto della popolazione, ma cosciente della mentalità comune che l’avrebbe connotata come rifiuto. Decise di suicidarsi. Il difficile stava nel trovare un modo. Poteva sperare che i due, risvegliandosi il giorno dopo, si rendessero conto della cazzata che avevano fatto. Ma il giorno dopo prevedeva un equivalente dosaggio di MDMA e Ketamina. Sarebbe rimasta in vita, reduce di cicatrici cerebrali di due venticinquenni che non accettavano la realtà. Troppo banale, sarebbe troppo banale ridurre la sua infinita superficialità a del semplice “troppo banale”. Troppo umana. E allora che senso aveva tendere alla perfezione per sapersi alla fine comunque incompleti? Che senso aveva laurearsi in economia per poi non vedere neanche un soldo? Non aveva senso cercare un senso fittizio se alla fine della giornata la morte sarebbe venuta lo stesso, travestita da preoccupazioni per il giorno seguente, mentre della Marlboro non sarebbe rimasto che il filtro, e il catrame nei polmoni sarebbe stato sempre più forte di qualsiasi menzogna si potesse usare per giustificarlo. Così i due decisero di non cercarlo, quel senso; di non inventare un’arte che si arrogasse il diritto di spiegare tutto, ma limitarsi a passare il tempo, scrivere per riempire quel grasso disagio interiore, figlio del terzo millennio. Hanry Menphis e Luca Torzolini alternavano letture di elevatissimo spessore a cose totalmente demenziali, Popper ai Monty Python, Happy Tree Friends a Pasolini. Quindi cosa poteva fare la loro creatura? Le sembrava impossibile abituarsi all’idea di quella vita, trascorsa tra l’essere un abominio dell’editoria e la rubrica preferita di tanti imbecilli. All’improvviso, nell’affermazione di uno dei due su un certo Gurdjieff, prese la direzione della rubrica esoterica. Ma ad un chiasmo romantico recitato dall’altro si sentì subito sturmunddranghiana. Il lungo silenzio a venire le tolse di dosso il grande fardello: i due stavano pensando ora ad ammucchiate selvagge; ognuno nella propria testa scopava un numero indecifrato di ragazze mulatte, asiatiche, caucasiche. Prendendo esempio dalla facoltà femminile di sincronizzare il giorno del mestruo con le donne con cui si convive, le menti funamboliche dei due scrittori si diressero verso il medesimo punto, al centro di quell’orgiastico universo, per incontrare la stessa fanciulla. Una telepatia sincronica l’incollò per sette minuti e quaranta all’identico, infimo pensiero sconcio: la presero, Juliette, 21 anni, la presero e legarono il suo corpo al letto. Lei protestava, impotente, mentre i due indossavano i loro abiti di scena. Luca Torzolini , da carismatico Zorro , cavalcava la puledra imbizzarrita e, con grevi colpi di fianco, assestava potenti penetrazioni nel foro anale. Hanry Menphis, alias Aquaman, esplorava ogni condotto fino a sverginare anche il foro lacrimale. All’unisono vennero con urla e gesta inconsulte sul corpo esanime di colei che - nonostante fossero fatti come muli - avrebbero ricordato per sempre. La fantasia finì. La realtà, in tuta mimetica e berretto verde, li attendeva pronta all’agguato. - Oh, ma questa rubrica? - disse Torzolini. - Alcol, serve alcol! - rispose Menphis. E i due se ne versarono ancora. La rubrica era rediviva, come un vampiro risvegliato da un lungo torpore, e si stava avviando con profondo disagio verso le strazianti rotte della rubrica a tema. Nulla di più inquietante poteva capitare, dalla sua nascita, ad un rubrica. Etichettata, identificata in un pericoloso modello che riproponeva di volta in volta lo stesso schema esplicativo per narrare aneddoti di Rimbaud, Diogene o chiunque altro, o per intersecare fra loro periodi storici e correnti artistiche , facendo ciò che alla fine dei conti può essere letto come un semplice sproloquio soggettivo senza alcuna attinenza con la realtà. - Si potrebbe chiamare “Ma chi sono io per fare una recensione critica su un quadro?”. - disse Torzolini. - Sì - rispose Menphis - in realtà parliamo solo del pittore e del suo escursus artistico, senza scrivere nulla sul dipinto. -

- Esatto - si esaltò Luca mentre stappava altre due bottiglie di alcol - e concludiamo ogni volta la rubrica scrivendo “All’interpretazione del quadro, a questo punto, pensateci voi”... Bene, visto che è un’idea figa lasciamola per un’altra Racconti di Luca Tor zolini e Hanr y Menp his rubrica. Adesso pensiamo a questa. - continuò Torzolini, che frettolosamente si dirigeva verso il bagno per vomitare. Hanry Menphis, rimasto solo, contemplava con avidità la luce scarna della lampada da cucina, affezionato all’arcaico impulso elettrico che dominava un tempo le scimmie nel circo dei fratelli Watislava. Di colpo si destò dal suolo l’editor, che ore prima era stramazzato a terra a causa di una sfida leggendaria: tracannare una damigiana di vino rosso non fermentato, da due litri e mezzo. Tassoni Stefano, questo era il suo nome, cominciò da subito a sparlare della rubrica in modo saccente e viperino. - La rubrica sarà sulla storia culturale dell’Italia centromeridionale! O no, meglio ancora, sarà invece sulle disquisizioni sopra i Paralipomeni della Batracomiomachia!! - Dopodiché perse di nuovo i sensi. Era l’unico acculturato del gruppo. Poverino, avrebbe fatto una brutta fine. Loro là a cercare di sbarcare il lunario con la rivista più cazzona della storia editoriale italiana e lui imprigionato con loro, in quella litote d’impertinenza che mitragliavamo contro il genere umano. Eppure nel frattempo qualcuno prendeva appunti, là, nell’angolo della stanza. Una donna saggia senza età scriveva senza sosta le lettere che ora v’imbocca a viva forza senza le giuste precauzioni. Più tardi sarebbe morta, per non avervi fatto usare il preservativo. Hanry Menphis e Luca Torzolini l’avrebbero seppellita in giardino, scrivendo sulla sua lapide:

“FANTASIA, NATA IL 00/00/00, MORTA IL 21/05/10”

Sarà difficile senza lei creare,
cercare motivazioni scomposte
che le vostre proposte
potessero stupire.
Magari andare avanti di poesia,
purché non rubino a vossia
talento e grazia.
L’artista ipocrita ringrazia
e s’inginocchia umile ma sapiente
al vostro dio penitente
che presto invecchiare v’ha fatto
con “l’identico” a contratto.
A tempo indeterminato.

 

A quel punto le idee stavano per finire. Nelle menti dei due scavava con forza il proprio rifugio Il Grande Vuoto. Presi dalla scintilla dell’ultimo impulso vitale, due neuroni sull’orlo del collasso incrociarono i propri assoni per dare un senso al finale. - Quale credi sia l’unico modo in cui una rubrica possa suicidarsi? - chiese Hanry Menphis. Torzolini rispose - trasformandosi in un semplice racconto - poi si alzò e se ne andò da casa dell’amico, portandosi via le sue buste piene di piscio

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